Torino, anno 1964
Scuola Elementare "Felice Rignon"
Classe Terza femminile B
Tema
Descrivi una situazione in cui ti sei sentita in imbarazzo.Svolgimento
Sono arrivata in questa scuola direttamente in terza, prima ero alla Montessori, dove i miei genitori mi avevano mandata per farmi saltare un anno. Infatti, a quattro anni ero una rompiballe capace di leggere e scrivere, così avevano deciso di mandarmi a scuola "un anno avanti", etichetta che temo mi resterà per sempre.Questa scuola è bella, ma un po' strana: siamo tutte femmine, dobbiamo indossare il grembiule bianco con il fiocco blu e veniamo chiamate solo con il cognome. Non possiamo scrivere con la penna stilografica (pensare che ho l'Auretta nuova che mi hanno regalato in seconda!), ma dobbiamo usare il pennino intinto nel calamaio periodicamente riempito dalla bidella. Quando abbiamo finito di scrivere, dobbiamo tenere tutte la stessa posizione, immobili con la penna alzata, e quando andiamo in palestra la maestra ci fa fare dei buffi movimenti con le clavette o il cerchio di legno.
La mia maestra e le sue colleghe sono quasi tutte zitelle e, anche se siamo alla scuola pubblica, ci fanno pregare ogni mattina. È molto severa ed esigente, soprattutto nei temi, o componimenti, come li chiama lei. Però la cosa più strana è che possiamo uscire dalla classe soltanto tutte insieme quando lo dice la maestra. Di conseguenza, ogni mattina la pipì si può fare solo una volta, quando la maestra decide di portarci tutte in fila al "camerino". Io pensavo che il camerino fosse quello dove si truccano le ballerine prima di entrare in scena, ma in questa scuola chiamano così il gabinetto.
Ebbene, un giorno verso mezzogiorno a me scappava tanto la pipì, ma non osavo in nessun modo chiedere il permesso di uscire per andare al "camerino". Infatti, qualche giorno prima era successo che una bambina aveva chiesto il permesso di uscita e la maestra l'aveva accordato spiegando che quella bimba, molto diligente, lo chiedeva per la prima volta dopo tre anni. Io, che ho un modo di ragionare un po' schematico, essendo lì da meno di tre mesi e nemmeno tanto diligente, non mi sentivo assolutamente degna di tale concessione.
Cercavo dunque di tenere chiusi i rubinetti finché ad un certo punto non ce l'ho fatta più e l'ho lasciata scappare. Fortunatamente, noi bambine degli Anni Sessanta indossavamo calzettoni allo ginocchio e lunghe gonne a pieghe che potevano essere allontanate dal corpo, così ho potuto continuare imperterrita a seguire la lezione. A un certo punto, però, è arrivato inesorabile il suono della campanella di fine mattinata. Io restavo seduta facendo finta di nulla, ma le bambine degli ultimi banchi mi passavano vicine andando verso l'uscita finché una chiamò la maestra dicendo: "C'é dell'acqua sotto il banco di Giordano!". In quel momento fui vergognosamente smascherata, presa in carico da un'amorosa bidella con un paio di mutandine di ricambio e spedita a casa.
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