Sono
comunista perché credo che ci voglia giustizia sociale e che il reddito di
un'intera società debba essere distribuito in modo da garantire a tutti
condizioni di vita dignitose: un tetto, un letto, un accesso a Internet, la
possibilità di trovare un lavoro, magari migliorando la propria formazione di
base per rendersi adatti alle mutate necessità del mondo. Credo che la scuola
debba fornire a tutti le stesse opportunità di imparare e migliorare la propria
posizione sociale di partenza attraverso una sana competizione basata sul
merito. Proprio per questo, credo debba essere selettiva e severa: a che serve
una scuola per tutti in cui si insegnano materie obsolete con metodi scadenti?
Serve solo a tacitare le coscienze dei benpensanti, che poi mandano i loro
rampolli a studiare all'estero nelle scuole veramente serie.
Sono
liberista perché credo che, alla fine dei conti "at the end of the
day", la responsabilità di quello che ci succede sia interamente nostra,
di ogni individuo che è in noi. Per questo motivo credo che lo Stato debba
garantire a tutti le stesse opportunità alla partenza, ma poi debba lasciarci
correre liberi e che vinca il migliore. Sono liberista perché non sopporto
l'ingerenza dello Stato e della comunità in tutte le questioni, tanto più in
quelle che riguardano più da vicino la sfera personale.
Non
sopporto il conformismo dei comportamenti e, prima ancora, dei pensieri. Quando
ero giovane il conformismo era parte integrante della società
tradizionale basata sull'economia del dopoguerra, sull'obbedienza alle
istituzioni e alle consuetudini, sulla famiglia mononucleare in cui l'uomo
riservava solo a sè il diritto di esprimersi nel mondo professionale e sociale,
mantenendo, quando andava bene, anche il dovere di provvedere alle necessità
della famiglia. La mia insofferenza a questo conformismo era stato il diventare
comunista: protestare nei cortei studenteschi gridando: "Studenti e operai
uniti nella lotta" (ma quale operaio mai si accorse di noi?), occupare la
scuola dopo aver ripassato la "consecutio temporum" e gli aoristi
passivi, ribellarsi alla concezione tradizionale della famiglia e del ruolo
delle donne. Così, tanto per, ero diventata anche femminista e sostenevo i
giornaletti che parlavano di contraccezione libera, anche se per me erano tutti
discorsi molto teorici.
Oggi
trovo atteggiamenti molto conformisti negli schieramenti di sinistra: è il
conformismo della difesa a tutti i costi del posto di lavoro, mentre difendere
il lavoro significa innanzitutto permettere alle aziende di diventare veramente
competitive. E' il conformismo del disprezzare almeno un po' tutto ciò
che è privato e ritenere comunque bello ciò che è pubblico: scuola,
ospedale, acqua, trasporti. Non importa se la scuola è scadente, gli ospedali
non riescono a garantire visite in tempi ragionevoli, i pulmann non passano
perché finiscono i soldi per acquistare il carburante. E' il conformismo
dell'usato sicuro, della difesa ad oltranza dei diritti conquistati in tempi
che se ne sono andati per sempre, delle femministe che non si tingono i capelli
per sentirsi più a sinistra, degli asili che chiudono presto il pomeriggio e
nelle feste comandate perché è meglio che i bambini stiano con le mamme (questo
lo so anch'io, grazie) anziché permettere alle mamme di costruirsi carriere
solide. E' il conformismo per cui la parola "lavoro" è di sinistra,
mentre "carriera" è di destra e presuppone l'aborrito arrivismo,
anziché una sana ambizione che anche le donne devono perseguire.
Non
so più se sono di destra o di sinistra, allora dico che la destra e la sinistra
non esistono più, forse solo perché sono inquieta e non trovo una mia
collocazione.
Perchè no? Sarebbe un quasi si, ma ci manca il coraggio di dirlo. Brava Giovanna che hai esplicitato un limbo nel quale, credo, ci troviamo in molti di più di quanti sappiano ammetterlo.
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