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mercoledì 23 gennaio 2019

Egregio dottor Fico...

Torino, 12 dicembre 2018
Egregio dottor Fico,

Scrivo interpretando il sentire delle moltissime persone che sono scese in piazza il 10 novembre a Torino e di quelle ancora più numerose che dialogano tutti i giorni con noi nella piazza virtuale e negli spazi fisici di incontro. Tuttavia, le parole che seguono saranno soltanto mie: ne assumo in toto la responsabilità e le conseguenze.
Nella sua lettera a La Stampa contro la TAV e le grandi opere lei parla di un modello differente di sviluppo del territorio e del Paese. Mi perdoni, ma francamente questa visione del mondo che volete costruire io non ho ancora capito quale sia, allora ho pensato di raccontarle la nostra.

La globalizzazione, ci piaccia o no, è un processo in corso che ha portato cose che interessano molto anche alla sua parte politica: Internet, i droni e le auto elettriche, tanto per citarne qualcuna. La globalizzazione ha elevato al di sopra della soglia della povertà molte persone sul pianeta (si calcola circa un miliardo), ma alle nostre latitudini ha causato un certo sconquasso.

Molti hanno perso il lavoro a causa della delocalizzazione verso paesi in cui i costi di produzione sono molto inferiori, oppure perché alcune aziende hanno lasciato il nostro territorio. La politica finora ha fatto ben poco per arrestare il fenomeno cercando di intervenire sulle cause o mitigando proprio questi costi così alti e rigidi.

Il processo di deindustrializzazione di alcune zone del Paese come il Piemonte, o di mancata trasformazione industriale come al Sud, comportano nuove povertà che non hanno trovato risposte nella politica. In più, la situazione di indigenza in cui molte persone si sono trovate dopo aver perso il lavoro ha minato i loro stessi diritti fondamentali, come quello di desiderare una vita migliore per sé e per i propri figli.

È naturale che in situazioni di instabilità come questa si rimpianga il piccolo mondo antico e si cerchi conforto tra le proprie mura, ma noi pensiamo che proprio ora sia necessario connettersi, accettare le sfide e tornare a competere.

Dovrà essere una competizione basata non sul censo ma sul merito, a partire dalla scuola che, se vuole davvero garantire i diritti di tutti a costruirsi un futuro, deve tornare ad essere difficile e selettiva. Solo così, io penso, potranno emergere i più affamati e i più folli in grado di cambiare il mondo.

Se poi la competizione riesce a portare sulla scena internazionale prodotti e servizi del nostro territorio, anche grazie ad opportunità di ricerca scientifica e di trasporto, non potremo che esserne tutti molto contenti.

Per tornare alla nostra "linea mista merci e passeggeri", ormai generalmente etichettata come TAV, non sarà essa la panacea di tutti i mali, ma certamente costituisce un modo concreto di aprirsi e collegarsi ad altre zone del pianeta. Noi scommettiamo che questa linea potrà dare all'area del Nord Ovest una serie di opportunità di studio e di sviluppo che, se ben sfruttate, potrebbero farci uscire dall'isolamento portando maggior benessere a larghe fette della popolazione.

Ho usato apposta il verbo "scommettere" perché, caro dottor Fico, lei sa meglio di me che chi assume responsabilità accetta implicitamente il rischio delle proprie scelte, compreso quello di sbagliare. Sono, infatti, frutto di scommesse quasi tutte le invenzioni che hanno cambiato la vita di molte persone, dalla lampadina a Internet passando per l'attuale tunnel del Frejus.

Dovremmo anche smettere, io credo, di dire che il profitto sta da una parte sola o che i vantaggi delle grandi opere sono solo di qualcuno, quando tutto un territorio ne può beneficiare se è in grado di raccogliere la sfida di collegarsi ad un mondo più grande dove la qualità dei prodotti locali viene valorizzata dal confronto con altri. Semmai, il diritto alla competizione, a nostro parere, dovrebbe rendere ancora più forte il dovere alla solidarietà e all'inclusione dei meno fortunati, in un processo di restituzione sociale sconosciuto ai tempi di Karl Marx, ma oggi molto attuale.

Certamente in passato sono stati commessi molti errori nel presentare l'opera alle popolazioni della Val di Susa, facendola calare dall'alto senza mediazione con le realtà del territorio. Questo ha esacerbato gli animi ed ha fatto sì che la questione TAV diventasse bandiera ideologica di parti politiche o simbolo ipertrofico di lotta al progresso. Non deve essere così e tutti insieme dovremmo mettere al primo posto la ripresa del dialogo pacato con le comunità locali. Tuttavia, nella mediazione deve essere tenuta presente la dialettica tra interessi locali e interessi nazionali, dove ormai per nazione dobbiamo guardare quanto meno all'Europa.

Infine, per quanto riguarda la sostenibilità ambientale, economica e sociale dell'opera, posso assicurarle che oggi l'attenzione su questi aspetti è massima da parte di tutti gli attori in gioco, grazie proprio ai riflettori che sono stati accesi da chi si è speso giustamente opponendosi alla costruzione del nuovo tunnel.

Per concludere, sarebbe bello poter dialogare con lei nel corso di un dibattito pubblico da tenersi proprio a La Stampa che sta ospitando il nostro colloquio a distanza. Che cosa ne dice?

La saluto cordialmente,

Giovanna Giordano


P.S. Solo una precisazione: non abbiamo mai etichettato coloro che si schierano contro la TAV come barbari autarchici o luddisti, perché rispettiamo le opinioni di tutti. Semmai, abbiamo ricevuto insulti ed espressioni di scherno da esponenti, anche non proprio di secondo piano, della sua parte politica.

Pubblicata in prima pagina su La Stampa il 14 dicembre 2018

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