Leggo con grande dispiacere la vicenda dei 54 lavoratori di alto livello professionale licenziati dalla società Cerence AI, che ha deciso di non puntare sulla sede di Torino per i suoi prossimi sviluppi industriali nel campo dell'intelligenza artificiale a supporto dell'autoveicolo. Sono molto dispiaciuta e desidero esprimere solidarietà a queste persone e alle loro famiglie, anche perché la ricollocazione dei loro profili professionali sul mercato torinese sarà probabilmente assai difficoltosa a causa della profonda crisi che ha travolto l'industria automobilistica.
Facciamo un passo indietro nel tempo, diciamo quaranta o cinquant'anni fa: Torino era rappresentata come città grigia e industriale, forse non ancora abbastanza apprezzata per le sue bellezze artistiche, ma l'economia in sviluppo permetteva investimenti e crescita delle aziende e delle famiglie, numerose anche nella fase successiva al "baby boom". Come giustamente ricordato di queste pagine, in quegli anni c'erano eccellenze nel campo della ricerca e, in particolare, proprio qui in Piemonte nei laboratori CSELT, all'Olivetti, all'Università e al Politecnico fior di ingegneri, matematici e informatici di entrambi i generi (sì, c'erano anche le donne!) si facevano la punta al cervello lavorando su progetti molto innovativi in quel campo che già allora si chiamava intelligenza artificiale, ben prima che ChatGPT la portasse sulla bocca di tutti.
Peccato che a questi primi preziosi vagiti non sia seguita la creazione di un'industria vera e propria, indispensabile per trasformare la genialità di alcuni innovatori in capacità di produrre sviluppo e ricchezza su larga scala. Infatti, da un lato la privatizzazione dell'operatore telefonico ha fortemente ridimensionato gli investimenti in ricerca applicata (ricordo che proprio CSELT faceva parte del gruppo STET) e dall'altro alcune grandi aziende che operavano come costruttori di sistemi e apparati elettronici sono state smembrate, alienate, vendute o comunque asservite a logiche finanziarie di breve periodo. Tanto per fare qualche nome, oltre a Olivetti che oggi può solo godere la magra consolazione di aver reso la città di Ivrea patrimonio dell'umanità Unesco, chi ricorda industrie di eccellenza nelle telecomunicazioni come, ad esempio, Italtel o Telettra?
Nel frattempo, in altre parti del mondo, ad esempio in quella Silicon Valley in cui un tempo alcuni ingegneri italiani venivano ascoltati e rispettati, gli investimenti nella ricerca erano copiosi e continui, tali da attirare finanze e fini talenti da tutto il mondo. In questo modo, sono riusciti a trasformare alcuni guizzi innovativi in quegli sviluppi industriali che ci hanno portato Internet, computer sempre più piccoli e ora l'intelligenza artificiale.
Mentre altri andavano avanti spediti sulla strada della trasformazione digitale, qui in Italia l'elettronica abdicava alla finanza di breve termine e la politica, priva di un piano di sviluppo nazionale, lasciava fare assistendo silente al progressivo smantellamento del tessuto industriale, primaria fonte di crescita e di ricchezza per tutto il paese.
Purtroppo ora i nodi vengono al pettine e siamo in molti a pagare le conseguenze di scellerate scelte. A me pare che questi lavoratori colpiti dai licenziamenti decisi da Cerence siano vittime non tanto dell'intelligenza artificiale, ma delle deficienze nazionali.
Nessun commento:
Posta un commento